Gino Cannici

ELOGIO DI UNA SAGGIA PAZZIA (O DI UNA STOLTA SAGGEZZA)

Salvatore Salamone non è nuovo a questi incontri; è recente il suo sodalizio con la poesia ne ” Il sole a tre punte” di Placido D’Orto.
Eccolo ora ad illustrare questa “Storia del re pazzo”.
Trovo positivo, ignorando le polemiche, questo recupero di una prepotente figurazione di così caldo e fascinoso umore che non gli vieta fughe ed astrazioni concettuali, anch’esse a lui congeniali, in cui confluiscono sinergie culturali in singolare simbiosi.
Vi si fondono elettivamente momenti di alta astrazione ed altri attinti dal patrimonio popolare e da quello leggendario delle saghe paesane, reinventate in termini nostrani in quanto a sintassi formale. Vi ritroviamo quei risvolti ingenui e icastici che hanno caratterizzato i repertori figurativi delle spalliere dei carretti siciliani, i cui stilemi sembrano essere stati determinati per le scelte dell’artista.
Né si possono escludere altri rimandi: “Tarocchi” della civiltà “cortese” agli “Arcani maggiori” di meno nobile ma vivida estrazione, per finire alle “figure” delle comuni sicule carte da gioco che hanno animato a lungo le serate, a lume di lucerna, dei nostri avi.
Nel nostro caso l’incontro con la poetica favolistica di Pecoraro ha prodotto l’armonico confluire dei singoli intenti, con effetti stimolanti.
L’orgia consumistica di immagini sembrava aver seppellito il mondo delle favole; l’abbiamo visto riemergere, ma in forme nuove e sofisticate, nei superlativi “cartoons” computerizzati…
Ma dov’è l’antico incanto?!
Nel frattempo non ci era mai venuta meno l’esigenza di un luogo della fantasia, dove rifugiarci quando la vita ci opprimeva. L’arte, in tutte le sue forme, può sempre fornirci questo luogo privilegiato.
In tal senso è stato bello imbatterci in questa favola scritta e visualizzata da due creativi in sintonia; magari per divagare piacevolmente.
Vi si narra del Regno di Sballalampur, dei suoi abitanti,del loro Re Gufus III e di quel salutare “Pozzo Gaio”, la cui acqua era antidoto alla pazzia. Una favola semplice, ma corroborata da uno spirito popolare, sano e procace, risolta dal pittore con una figurazione che vuole essere un ” lessico” per tutti, saporoso ed accattivante; una favola tradotta in immagini di spontaneo umore vernacolare, in cui sono volutamente ignorati vistosi riferimenti etnici ed esotici dei luoghi.
L’esperienza della “Singlossia”, comune ai due autori, di cui resta il ricordo di alcune mostre e della rivista “Cartagini”, è travasata in parte in queste composizioni, conferendo ad esse varietà ed evidenza illustrativa.
Ma queste pagine di poesia visiva ci ricordano anche, a parte le differenze d’uso e destinazione, i grandi “Salteri” zeppi di note ed i solenni ” Corali”alluminati in cui le figure avevano il loro complemento negli splendidi caratteri gotici, con modi che fioriranno senza soluzioni di continuità fino al prodigioso Rinascimento, arenandosi poi nelle secche della “maniera”.
Di queste suggestioni colte mi pare di avvertire qui la traccia larvata in qualche struttura compositiva , in un contesto formalmente realistico, in versione laica e sicula.
Colore e scrittura-segno, in un intrigo coinvolgente, interferiscono combinandosi a vicenda con singolari risorse inventive e valenze espressive, saturando gli spazi, a cominciare dalla prima tavola, tra le più compiute e belle
che, nel piano dell’opera, assolve egregiamente la funzione di prologo, con volute incongruenze cronologiche che aggiornano le metafore più o meno esplicite.
“C’era una volta…” è l’ “incipit” di tante favole ed anche della nostra, di cui l’autore ci fornisce, con divertita disinvoltura, il luogo geografico: Sballalampur è a… Ceylon, l’isola splendente.
La seconda tavola lo documenta!
L’imponente figura di Re Gufus III – la magnifica, fluente barba blu – domina la seguente tavola della storia, dove si racconta di quell’Eden che era il suo Regno; la successiva ci impegna nella lettura acrobatica lungo un percorso ottico semi circolare avvolgente la singolare veduta moderna di Sballalampur, con evidenti spericolati anacronismi. La rivediamo nell’altra più spettacolare, in cui appare il buon Gaio, ignudo e felice con il suon flauto,come “in Arcadia”, accanto al suo pozzo miracoloso. Ed eccolo ancora in un vistoso primo piano, in mano una coppa di vetro colma d’acqua, nel gesto quasi rituale di offerente.
La tavola del “Pozzo Gaio”, forse l’apice di questa epopea bonaria e burlesca, è la più ricca di implicazioni culturali, assunte e rielaborate.La composizione, fitta di figure, scala verticalmente affiancando in entrambi i lati il testo iridato, per concludersi nel crescendo del pozzo grondante acqua, posto al culmine.
E’ ineludibile il richiamo alla “Fontana della giovinezza”, tema tanto caro ai miniaturisti, non certo dei “Tacuina sanitatis”, ai frescanti ed arazzieri operanti nell’ambito della produzione “cortese”, già citata, ma aggiungo il riferimento a quel capolavoro sul tema realizzato da Cranach nel dipinto di Berlino.
Analogie casuali?
A parte qualche richiamo al fenomeno mirabolante, da escludere quello compositivo, cui l’episodio, attraverso le spassose notazioni metaforiche e la gaiezza vitalistica, vuole significare la ritrovata giovinezza dello spirito che induce i giovani “sballesi” a liberarsi dei vestiti e brindare alla vita e all’amore.
La composizione che illustra il nefasto proclama del Re, col veto di attingere al Pozzo Gaio, ci rimanda alle “storie” dei Pupi siciliani. L’ideazione contrappone la forte connotazione tipologica dei banditori alla florida sana avvenenza delle donne, immerse nell’azzurro luminoso delle vesti che esalta il corpicino ignudo del putto fra le braccia materne.
Ormai la fiaba volge alla fine e nel più felice dei modi, assecondando una tradizione prediletta; ma Salamone ci dà un finale letteralmente esplosivo ed effervescente nell’enfasi del segno e nella tavolozza volutamente squillante; una vibrante ondata di azzurro si irradia dal pozzo ed investe gli astanti; il Re, sommerso ed… idratato, finalmente sorride!
Un finale degno per un divertimento fiabesco che ha il tono e la dignità di una “Kermesse” amabile e ottimista.

(tratto dalla cartella serigrafica “La favola del RE pazzo” di Salvatore Pecoraro – Ed. Seristampa – Comiso, 1995)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*
Website